Il moderno razzismo comincia dalle parole - Articolo di Teri Volini a seguito dei fatti di Rosarno - gennaio 2010
A seguito dei drammatici fatti di Rosarno mi sembra d'obbligo riflettere su quanto possa contare nella valutazione dei fatti e nella ricerca di soluzioni il modo con cui percepiamo la realtà, e di come il nostro modo di pensare traspaia anche nelle parole che usiamo.
Appare innegabile che - in aperto contrasto con il tanto sbandierato “progresso” dei nostri tempi- il livello di coscienza è oggi in realtà molto basso, essendo fondato su concetti di separazione; sospetto, egoismo, presupponenza, ipocrisia, sembrano infatti essere la norma.
Nei rapporti viene posto l’accento su ciò che divide, piuttosto che su quanto può unire, e ci si aggrappa a delle appartenenze - sociali, economiche, politiche, culturali, razziali - che immediatamente si trasformano in perniciosi germi di scontro distruttivo, a livello interpersonale, sociale e tra i popoli del mondo, con le conseguenze tragiche che sono sotto i nostri occhi.
Una riflessione sul tema potrebbe attivare un cambiamento negli schemi di pensiero ormai abituali, un loro superamento nel riconoscerne la bassa qualità: quanto appare indispensabile non solo per il benessere ma per la sopravvivenza stessa dell’umanità.
E’ un lavoro prioritario, che può aiutarci a comprendere e superare i nostri personali fondamentalismi; ad attivare un reale rispetto dei vari modi di vivere, pensare e agire dell’umanità; ad affermare la nostra potenzialità di amore nella costruzione di mondi nuovi, dove la pace, la giustizia, la fratellanza, il rispetto, l’accettazione e la valorizzazione delle diversità siano i valori fondamentali...
Il basso livello di coscienza si riflette direttamente nel linguaggio. I termini impiegati nel quotidiano - quelli meno mediati, più automatici, istituzionalizzati dall’uso - sono lo specchio implacabile delle nostre abitudini mentali, della nostra superficialità e dei nostri pregiudizi.
La parola specchio della coscienza: eXtracomunitari
Osserviamo la parola in questione: composta da un prefisso che viene dalla lingua latina, utilizzato anche in altre parole, come extra-vergine, riferito qualità di un prodotto, extra-sensoriale, extra-parlamentare, extra-terrestre, extra-large...
In alcune il senso è neutro, in altre positivo, in altre meno: questo significa che la forza significante gliela diamo noi, con il sottolineare un significato piuttosto che un altro.
Nel caso dell'onnipresente espressione extracomunitario la presunta neutralità viene di fatto contraddetta da una semplice osservazione: se con quel termine ci si riferisce in buona fede a “coloro che non fanno parte della comunità europea”, come mai non ci viene in mente di definire con questo termine uno svizzero, un americano, un giapponese?
Una persona importante, un’autorità politica o religiosa... un miliardario... un grande artista? Difficilmente ci verrebbe di farlo, e tanto meno ufficialmente, perché nella nostra mente quel termine designa impietosamente, con una vena di latente disprezzo o velata compassione i poveri del mondo, o comunque coloro che non riteniamo fortunati o bravi-belli-intelligenti come noi, e che ancora patiscono condizioni economiche, politiche, culturali difficili o estreme (guerre, dittature, carestia, ingiustizie sociali etc.).
Così, invece di ripensare obiettivamente alle cause storiche, economiche e politiche che hanno contribuito fortemente a questo squilibrio; alla possibilità e al dovere di un serio intervento internazionale - anche perché tante sono le nostre responsabilità storiche, come colonialismo, sfruttamento, corruzione tramite gli specchietti per le allodole del nostro falso e luccicante benessere, senza parlare delle guerre di religione, crociate e simili- perseveriamo nell'uso di un termine così impregnato di accezioni negative.
Siamo sinceri: quell’extra sa proprio di separazione, di eXclusione, di seccatura, di volontà di allontanamento: di razzismo.
Il termine esprime con chiarezza risonante il nostro fastidio per chi, con la semplice presenza, ci riporta alla coscienza tutta la nostra ingenerosità, che crediamo di poter compensare con qualche sporadica beneficenza codificata o altri palliativi...
Usare con noncuranza quella parola, fa zampillare tutta la nostra pretesa superiorità - culturale, intellettuale, economica, senza altre preoccupazioni che la nostra ottusa tranquillità: ed è proprio questa ci sembra minacciata dalla presenza di quegli eXtra, che fra l’altro, non conoscendo bene la lingua del paese “ospitante”, neanche si rendono conto di questa finezza linguistica, avendo ben altre priorità.
Ma chi desidera “capire” essere nel giusto, rompere i vecchi schemi desueti e dannosi, percepisce quella parola come simbolo e bandiera di dichiarato razzismo; un allontanamento da realtà che non conosciamo e non abbiamo nessuna voglia di conoscere, la volontà di ignorare un grande problema, che invece riguarda anche noi.
La parola muro separante
La parola diventa muro separante rispetto a coloro che consideriamo irrimediabilmente diversi, anzi nemici, ritenuti pericolosi per noi. Solo perchè “stranieri?
In realtà, approfittiamo del fatto che i cosiddetti eXtra.... non sono inseribili nei nostri parametri di potere e di ricchezza: anche altri popoli sono diversi per cultura, religione etc. ma non ci permettiamo di comportarci nello stesso modo, di definirli in maniera così offensiva: con gli eXtra-comunitari lo facciamo spudoratamente perché sono più deboli.
Difatti definiamo extracomunitari il ragazzo cingalese che cerca di sopravvivere vendendo fiori per strada, il nero che fa la stessa cosa trasformandosi in un mercatino ambulante, ma lì c’è un’aggiunta ancor più elegante, lo chiamiamo addirittura vù cumprà, aggiungendo la derisione implicita nella parola che trasforma in sostantivo il verbo usato per invitare all’acquisto, al disprezzo...
Per non parlare degli esseri umani non più visti come tali ma trasformati in moderni schiavi - braccia, non persone- alla faccia della nostra carità cristiana. Braccia di Senza diritti, di sfruttati, abbandonati nella fatiscenza, poi mandati via; braccia usa e getta, se non peggio. La criminalità organizzata che li incapsula non è che il livello più basso di una scala che ad ogni gradino vede cancellati i valori umani e la vita civile.
D'altra parte, cose simili sono accadute nell'America dei secoli passati, senza parlare del più recente Sud Africa: già, ma non siamo nella ridente pittoresca e bonaria Italia, traghettata nel 3° millennio come “potenza mondiale” ?
Dignità
Il colore della pelle, la nazione di provenienza, la posizione economica incerta, etc. non dovrebbero toccare la dignità di nessun essere umano, né mortificare il suo desiderio di vivere degnamente; si dovrebbe fare il possibile per metterlo in condizione di vivere onestamente, se quella è la sua “petizione” dato che contribuisce fra l'altro all'economia del paese ospitante, che di lavoratori in certi ambiti ha bisogno; dando certo per scontato che si debbano allontanare o affidare alla giustizia coloro che delinquono, ma come si dovrebbe fare nei confronti di qualsiasi persona disonesta...
La responsabilità nostra è grande; ma probabilmente l'acquisizione di coscienza è percepita come un fastidio, e questo non ci permette di affrontare come si dovrebbe un problema improrogabile: organizzarsi per accogliere i nuovi venuti, che in fondo fanno ciò che i nostri non lontani parenti hanno dovuto fare fino a qualche tempo fa: emigrare!
Ci tocca contribuire, proprio perché più fortunati, affinché anche a loro siano date quelle opportunità che finora non hanno avuto: in nome della comune appartenenza, quella sì, all’Umanità.